[Ninux-Wireless] Articolo de Il Manifesto su una rete "mesh" di New York

BornAgain bornagain a autoproduzioni.net
Sab 21 Maggio 2016 18:39:45 CEST


> Il giorno 21/mag/2016, alle ore 10:56, Leandro Noferini <lnoferin a cybervalley.org> ha scritto:
> 
> Ciao a tutti,
> 
> un articolo che fa un po' sorridere (40 nodi in un quartiere di New
> York!) ma che forse ci dice che qualcosa si sta muovendo anche in
> ambienti molto refrattari:
> 
> da http://ilmanifesto.info/le-reti-ribelli-di-new-york/ <http://ilmanifesto.info/le-reti-ribelli-di-new-york/>

Ciao .. beh sicuramente 40 nodi in un quartiere di NY non sono tanti  ma anche noi se è per quello non è che ce la passiamo bene :)

comunque loro sono nati nel 2011 quindi 40nodi non mi sembrano così male e la struttura è comunque un’associazione.
Mi sono reso conto comunque che la grandezza di una città non è per forza direttamente proporzionale al numero di nodi presenti.. anzi in molti casi la densità è più bassa per via del fatto che devi costruire comunità e una struttura cittadina è proprio quello che ti rompe l’aggregazione sociale.

quello che invece mi sembra chiaro nell’articolo sono gli obiettivi che si prefiggono e quindi anche a chi si rivolgono. Naturalmente gli ambienti molto refrattari di cui parli sono invece molto sensibili a certe tematiche piuttosto che altre .. dare una visione chiara di cosa si vorrebbe fare ed essere aiuterebbe anche Ninux a potersi espandere in questi ambienti.

Essendo Ninux invece molto eterogeneo questo a quanto pare è molto difficile

Forse sarebbe il caso in Ninux  magari di contarci chi e quanti siamo a voler usare questa rete per certe tematiche e in certi ambienti  (oltre la sana sperimentazione che ci sta tutta e a molti di noi piace, me in primis) iniziando a capire come poterci muovere

ciao


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BornAgain

bornagain [at] autoproduzioni.net

Nodi su rete wireless comunitaria Ninux.org
http://map.ninux.org/select/reggiocalbornagain/
http://map.ninux.org/select/romapandora/
ed altri ..



> 
> Le reti ribelli di New York
> Giorgio Ghiglione
> 
> Prove tecniche di reti Internet alternative. Si chiamano Mesh e sono
> reti wireless «a maglia», senza bisogno di un server centrale e neppure
> di un provider che fornisca l’accesso al Web. Perfette per evitare il
> blocco della connessione durante le manifestazioni, come successo in
> Egitto e Hong Kong. Ma anche ottime per creare una rete di emergenza in
> caso di catastrofi naturali o semplicemente per raggiungere aree non
> coperte dai servizi. Economiche e facili da creare, da qualche anno le
> reti Mesh hanno raggiunto New York. Obiettivo: creare connessioni
> alternative allo strapotere di giganti come Comcast, Verizon o America
> Online e permettere l’accesso a Internet anche ai più poveri.
> 
> Più volte accusati di inserire blocchi per rallentare la rete degli
> utenti, i provider americani non sono esattamente noti per qualità e
> convenienza. Secondo un’inchiesta della Pbs (la TV pubblica americana)
> per una connessione da 25 mega-bit al secondo i newyorkesi spendono 55
> dollari al mese, il doppio degli abitanti di Londra. Con la stessa cifra
> i residenti di Hong Kong, Tokyo e Parigi hanno a disposizione
> connessioni otto volte più veloci. Non a caso New York nel 2014 ha
> “vinto” il poco onorevole titolo di metropoli con la peggior connessione
> al mondo per costi e efficienza, come spiegava un’inchiesta del Los
> Angeles Weekly.
> 
> Oggi a non avere un accesso Internet sono circa 2 milioni di newyorkesi
> e il problema riguarda soprattutto i più poveri. Per effetto delle
> politiche commerciali, circa un terzo delle famiglie che a New York
> vivono sotto la soglia di povertà non dispongono di una connessione. «Il
> problema del digital divide è che se tu non hai accesso a Internet è
> perché non hai le risorse, non perché non ti interessa utilizzarla»,
> spiega davanti a un cappuccino Anthony Schools, responsabile tecnologico
> della Red Hook Initiative. «La questione è non essere tagliati fuori dal
> mondo: avere una connessione ti permette ad esempio di cercare lavoro e
> di sfruttare meglio il tuo quartiere o la tua città».
> 
> L’associazione di Anthony ha creato una rete comunitaria a Red Hook, un
> quartiere all’estrema periferia di Brooklyn che ospita il secondo più
> grande blocco di case popolari dopo quello di Long Island. Da sempre
> quartiere popolare, Red Hook ospitava i lavoratori italiani e irlandesi
> del porto di New York, fino a quando la diffusione dei container navali
> ha fatto sì che le industrie del porto si spostassero nel più spazioso
> New Jersey, dando via alla deindustrializzazione.
> 
> Creata nel 2011, la Red Hook Mesh è nata per aiutare gli abitanti del
> quartiere, come spiega al manifesto Schools: «Siamo un’organizzazione
> focalizzata sui giovani: diamo sostegno negli studi, forniamo borse
> lavoro. Avevamo iniziato con una web radio per ragazzi ma sembrava che
> non avessimo una reale connessione con la comunità e nessuno ascoltasse
> realmente. Allora ci siamo detti: e se creassimo una rete
> wireless?». Così è partita la Mesh, che non è altro che una rete «a
> maglia» costituita da una serie nodi, spesso un semplicemente router,
> che fanno sia da trasmettitori che ricevitori e ripetitori del
> segnale. Basata sul collegamento «punto a punto» in cui ogni utente
> costituisce un nodo, senza il bisogno di un server centrale e neppure di
> Internet provider che fornisca l’accesso.
> 
> Di nodi a Red Hook ora ce ne sono 60. In una tiepida e soleggiata
> mattina di primavera, sembra un posto molto tranquillo, diviso com’è fra
> «The Back», casette unifamiliari un piano e «The House», le residenze
> popolari. Non sembra affatto quello che, ormai più di 30 anni fa, la
> rivista Life definì la «capitale americana del crack», eppure i problemi
> sociali del quartiere non sono scomparsi, anzi. Abitato principalmente
> da neri e sud americani, il quartiere è quasi isolato dal resto della
> città, circondato com’è dall’acqua per tre lati e privo di una stazione
> della metropolitana nelle vicinanze. Il tasso di disoccupazione si
> aggira intorno al 21%, il doppio che nel resto di Brooklyn. La gente qui
> soffre di problemi «che sono endemici al sistema americano», ragiona
> Schools: «La metà degli abitanti di Red Hook non ha un diploma di scuola
> superiore e il 75 per cento dei giovani tra 18 e 24 anni è senza
> lavoro. Più o meno 7.500 persone – su 11.000 abitanti del quartiere –
> vivono nelle case popolari, che si possono ottenere solo se si è senza
> lavoro o se hai un lavoro a salario basso».
> 
> Schools assume un’aria soddisfatta quando racconta di come Red Hook Mesh
> possa essere utile agli abitanti dei quartiere. «Quando abbiamo
> iniziato, tra il 40 e il 60 % dei residenti non aveva una
> connessione. Abbiamo formato dei ragazzi che si occupassero della rete e
> in un anno siamo passati da due hotspot a 60. Oggi chi non ha i mezzi
> può usare gratuitamente questa connessione per provare a trovare
> lavoro. L’idea che tutti ne traggano vantaggio è uno spunto per
> partecipare alla vita di quartiere. Red Hook è un posto dove c’è molto
> il senso di comunità, la gente vuole proprio aiutare e rimboccarsi le
> maniche. Tutti hanno collaborato dicendo “puoi usare il mio tetto”, “la
> mia casa”, mentre i ragazzi sono pagati per essere gli installatori e i
> manutentori della rete».
> 
> Arrivata all’attenzione del grande pubblico quando l’uragano Sandy aveva
> isolato il quartiere e la Red Hook Mesh era rimasto l’unico modo di
> comunicare con l’esterno e ottenere informazioni sul disastro in corso
> (tanto che la Fema, la protezione civile americana, potenziò il segnale
> per creare un mezzo di comunicazione di emergenza), oggi la rete è
> entrata nel programma di abbattimento del digital divide voluto dal
> sindaco progressista Bill De Blasio. Questo ha in parte modificato lo
> spirito del progetto: «Un tempo era tutto molto incentrato sul “locale”
> ma adesso c’è il sostegno di un intera città. Così per essere più
> efficaci su larga scala abbiamo dovuto coinvolgere anche società
> private. Non è più solo un progetto di quartiere come lo era in
> principio e, anche se lo controlliamo sempre noi, dobbiamo lavorare con
> altra gente, inclusi esponenti del mondo degli affari o le autorità»,
> ammette Schools.
> 
> Lui però non vede come un male la trasformazione del progetto in
> qualcosa di più grosso: «Vogliamo essere in tutte le vie commerciali e
> nelle case popolari. La mia speranza è che quando tutti avranno una
> connessione potremmo spostare i nostri sforzi dal costruire il network
> ad aiutare le persone ad utilizzarlo per migliorare la propria
> condizione».
> 
> Ad arrampicarsi sui tetti per fornire connessioni a internet
> “alternative” a quelle dei grandi provider però non sono solo i ragazzi
> della Red Hook Mesh.
> 
> Partendo dal West Village, quello che un tempo era il quartiere
> artistico della città e oggi subisce i colpi della gentrificazione, gli
> attivisti della NYC Mesh stanno provando a mettere in piedi una rete che
> copra Manhattan e l’intera città. «La motivazione principale che ci ha
> spinti ad agire è la mancanza di scelte: a New York puoi avere solo
> operatori come Time Warner o Verizon che sono molto costosi, molto più
> di quanto dovrebbero essere», dice con un sorriso Brian Hall, un
> ingegnere informatico membro della NYC Mesh quando lo incontriamo a
> Manhattan al DBA bar, un locale del West Village che ospita uno dei nodi
> della rete.
> 
> Organizzati attraverso il sito meetup.com – sorta di social network nato
> dopo l’11 settembre che consente di creare gruppi fra persone con
> interessi comuni – gli attivisti della NYC Mesh, una decina di persone
> in tutto, pensano in grande e si ispirano alla spagnola Glifi, la rete
> comunitaria più grande al mondo con 30.000 nodi sparsi per tutta la
> Spagna. «Il nostro obiettivo è quello di diventare una rete in grado di
> competere con Time Warner o Verizon, perché in città c’è bisogno di
> un’alternativa ai grandi provider» spiega Hall.
> 
> Certo, l’obiettivo è ancora lontano visto che la rete newyorkese ha solo
> una quarantina di nodi (ma ci sono circa cento persone in coda). Però
> sta cercando di allargarsi installando due trasmettitori wireless ad
> alta potenza per ovviare ai problemi di perdita di segnale. Nelle
> intenzioni di Hall e degli attivisti la presenza di «super nodi»
> permetterà alla NYC Mesh di avere accesso diretto ai cavi transatlantici
> che sono la «spina dorsale di Internet» e potrà allargare il raggio di
> azione, consentendo il collegamento diretto senza che sia più necessario
> installare i router a poca distanza uno dall’altro.
> 
> Certo, prima che le reti Mesh possano diventare una reale alternativa e
> non siano semplicemente un progetto destinato a un’area disagiata dalla
> città – come accade a Red Hook- o un’iniziativa limitata a pochi
> cittadini, come invece succede ai loro “cugini” della NYC Mesh, passerà
> ancora del tempo. Ma passando dal tetto di un edificio a un balcone la
> rivoluzione avanza, un router alla volta.
> 
> --
> leandro
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