[Ninux-Wireless] Autonomia digitale

Marco Tarquini marco.tarquini a gmail.com
Ven 13 Maggio 2022 22:28:35 CEST


Riprendendo per punti:

Il giorno gio 12 mag 2022 alle ore 17:47 Accattone <hackattone a inventati.org>
ha scritto:


> Almeno visto che:
>
> a) innanzitutto sembra funzionale al concetto ed operatività di PA/Stato
> avere  "a single source of trust/info";
>
> Molto vero. C'è poco da aggiungere... Forse solo che un decentramento è
> desiderabile anche per la PA (argomento politico).
>

Dipende molto da che cosa intendi per "argomento politico".

A me pare che il tuo essere intimamente, convintamente un attivista
dell'open source / free software ti porti verso posizioni che forse
prescindono un po' troppo dal dato reale.
Non voglio riprendere la distinzione tra apocalittici ed integrati di
Umbero Eco (visto che citavi il sommario degli Asini...), ma mi pare un
dato della realtà che quello che abbiamo visto (se non personalmente, come
generazione) negli ultimi trenta-quarant'anni in Italia è decentramento
senza coordinamento, e ritenere che non debba (necessariamente) essere così
per la nostra concreta PA ed il suo PSN assomiglia più ad un *wishful
thinking* che ad un'opzione concreta a disposizione.
Il decentramento su base regione / macroarea ha dato cattiva prova di se:
poca efficacia, poca efficienza, molti sprechi, tanta spartizione di
risorse, nell'accezione deleteria del termine, avvenuta su base geografica
anziché gerarchica.

La scelta di campo è un conto, legittima a prescindere, condivisibile o
opinabile: il prescindere da dove questa scelta è chiamata ad operare, mi
pare un'altra cosa.

b) una delle ragioni principali del progetto PSN (pur con i limiti che hai
> evidenziato, e che riprendono quanto avevi scritto su LinkedIn prima;
> https://www.linkedin.com/pulse/cloud-computing-e-sovranit%C3%A0-digitale-italia-europa-lamanna-phd?trk=public_profile_article_view
> ) è  proprio la molteplicità ed inadeguatezza dei datacenter locali
> esistenti in ambito PA;
>
> Sì. Ma ciò non significa che la "razionalizzazione" sia l'unica via. E'
> solo quella che hanno imboccato. Che è sensata, ma se ne potevano trovare
> altre.
>


Mi pare fosse Feynman ad aver detto, nei suoi esperimenti sulla figura di
diffrazione, che i fotoni seguissero tutte le traiettorie possibili dalla
sorgente ad Antares (se era Antares) prima di imprimersi sullo schermo:
l'episodio serve solo per dire che dipende pure da quali siano queste vie
da trovarsi.

Io credo che sia illusorio pensare che si possano percorrere strade i cui
promotori non siano nemmeno invitati al tavolo delle decisioni da prendere.
Ed è ancora più illusorio se si considera che i presupposti di questi
percorsi (competenze, persone, gli stessi capitali che sono condizionati,
ed in parte a prestito) non ci sono fisicamente.

Potrei trovare vari aneddoti che siano rappresentativi del perché molte
delle ipotetiche traiettorie da qui ad Antares non abbiano probabilità di
successo sufficienti per essere concretamente prese sul serio, ma in
definitiva la questione nemmeno li richiede (gli aneddoti).
In questo paese, nell'ambito del PNRR perché e soprattutto come si potevano
prendere altre vie per il Polo Strategico Nazionale, che è un qualcosa di
concreto, fattuale, che nelle intenzioni deve andare operativo senza
soverchie incertezze ed in tempi non lunghi già solo per rispettare le
scadenze del Next Gen EU? Non si parla mica di ricerca di base e per adesso
vedo solo limitate interrogazioni parlamentari "postume" (quella che
riportavi su LinkeIn, IIRC).



> c) a livello di infrastruttura fisica, il traffico atteso tra N data
> center distribuiti già a naso non sembra un modello supportabile dalle reti
> geografiche nostre, ma forse pure in generale;
>
> Non concordo. E' più una questione di architetture software privilegiate
> che di rete. Ci sono un sacco di modi diversi di distribuire. E' vero,
> ancora una volta, che i modelli scelti da 20 anni a questa parte, portano
> verso la centralizzazione. Si potrebbe quindi dire: perché complicarsi la
> vita? E una risposta potrebbe essere: perché no? :-)
>


Non ti seguo molto quando dici che ci siano diversi modi di distribuire, ed
intendo sistemi concreti, applicabili.
Credo che gli attuali dati di traffico dei datacenter e dei cloud pubblici
stiano già a dirci che la strada non è facilmente percorribile dal punto di
vista economico, almeno finché le telco o gli ISP non faranno beneficienza.


e) oltretutto al di fuori dei big citati, ed è vero soprattutto in Italia
> (ed in Europa), non esistono nemmeno degli "spacciatori di colla"
> potenzialmente adatti (per dimensioni, filosofia, etc.) ad una federazione
> come quella a cui mi è parso che accenni tu.
>
> Vero, ma per questo si potevano usare i soldi per formare gli spacciatori.
> Mai cominci, mai li avrai.
>

E sono d'accordo che l'investimento ha il suo ritorno (ed anche il mancato
investimento).
Ma quello sarebbe un altro capitolo di spesa del nostro PNRR.
E non è un rilievo fiscale, meramente formale: ogni decisione presa ha di
mira un obiettivo o parte da una necessità.
Formare non mi pare che possa esser mai preso come obiettivo o necessità
per il Polo Strategico Nazionale.

Ecco, magari Infratel ed il Governo non avranno "ragionato" proprio così
> con il bando del PSN, però mi pare che le scelte concrete debbano tener
> conto non solo di quello che si ritenga "essere giusto", ma pure
> dell'essere possibile.
>
> Certo, figuriamoci. Che si dovesse andare comunque verso l'Hybrid Cloud
> era nelle cose, nessuno si era illuso che avrebbero costruito veramente un
> Private Cloud. Il problema, però, è che qui hanno subappaltato tutto agli
> Hyperscalers. Parliamo di mezzo miliardo (542 milioni) in licenze! E che
> diamine! Una quantità di spesa così elevata in royalties, in presenza di
> alternative valide (Open Source) che avrebbero spostato la spesa verso
> investimenti in R&S e formazione, e dunque verso il territorio.
>

Ancora, chi parla qui, l'attivista, l'evangelista, o magari l'ingegnere che
lavora in una realtà diversa dai Big Three?
La presa d'atto di TIM, Leonardo, Sogei, è per certi versi dolorosa ma non
inaspettata. L'alternativa "make or buy" è concreta se e solo se almeno in
ipotesi sei capace di un "make".
E qui basta vedere l'esperienza di TIM che, ondivaga, negli ultimi anni per
il proprio cloud interno è partita con Canonical, per poi virare su Red
Hat/IBM ed infine consegnarsi mani e piedi a Google (pur mantendo in piedi
i vari pezzi affastellati fino ad ora).
La realtà è che non sono capaci di fare cloud, non alla maniera diversa dal
"lift & shift": non ne hanno le competenze all'interno. Basti pensare che
l'attuale piano dell'AD Labriola prevederebbe la confluenza di Noovle in
quella NetCo che Repubblica dice dovrà chiamarsi Telecom Italia (e TIM la
SerCo, alla faccia della non integrazione verticale).
E neanche Aruba, Fastweb e tutti i trombati del PSN: non per niente abbiamo
(almeno) 10 anni di ritardo.

E probabilmente non c'è manco tutto quest'interesse verso R&S e territorio,
almeno a giudicare dal fatto che in una ML come questa ne stiamo parlando
solo in due.


E poi, le competenze e le esperienze in materia di Cloud Computing, seppur
> scarsamente diffuse, non mancano affatto in Italia. Ci sono eccellenze
> nazionali, come il GARR, e locali, come il CSI Piemonte, che hanno
> dimostrato, sul campo, che è possibile rendersi autonomi per le
> infrastrutture. In questi ed altri centri di eccellenza per il Cloud
> Computing sono state sperimentate le stesse tecnologie di punta usate dagli
> Hyperscalers extra-europei. Lo sforzo è stato enorme, scarsamente
> supportato da fondi pubblici, guidato da passione pura verso la tecnologia
> e rara capacità di visione tecno-politica. Ci hanno mostrato che partendo
> dalle competenze ingegneristiche di base, che al contrario sono molto ben
> radicate in Italia, non è affatto impossibile intraprendere un percorso di
> costruzione di infrastrutture cloud, giovandosi dell’esperienza indiretta,
> fatta di errori e successi, di chi oltreoceano ha impiegato lustri per
> arrivare dove ora si trova ed abbattendo, così, drasticamente tali tempi.
>


Le esperienze a cui fai riferimento non le conosco, per cui non mi permetto
di commentare anche se (solo per chiarire il mio approccio) in generale non
ho un sentimento entusiastico o positivo riguardo al sistema formativo ed
al mondo accademico italiani.
Alla fine ci ritroviamo con una scarsità di risorse intellettuali in ambito
STEM, ed un generale appiattimento verso il basso che spinge chi può (ed in
questa ML penso che ce ne siano di esempi) ad andare all'estero per vedere
riconosciuta economicamente il merito, oppure ad accontentarsi del livello
retributivo comparativamente basso che caratterizza il bel paese se non si
ha quell'attitudine pratica che porta ad abbracciare le esigenze del
business.
Questo non è funzionale ad un discorso che hai dei tempi relativamente
stringenti (in 5 anni non formi molto): un buon progetto che ha dei tempi
lunghi è un fallimento comunque, in questi casi.
E tra l'altro non sono nemmeno sicuro che si possano comparare progetti su
piccola scala con soluzioni che hanno mostrato di scalare per milioni di
istanze da quanto? Almeno da un lustro?



> Per quale motivo non sono state considerate queste esperienze? Perché non
> sono stati coinvolti nelle decisioni, o almeno consentito loro di porre a
> fattor comune le competenze già acquisite? Gli investimenti già fatti sono
> andati persi e sono state sacrificate le eccellenze create autonomamente.
> Mi chiedo quanto sia sensato tutto questo e quanto invece non sarebbe stato
> più intelligente ereditare percorsi già compiuti per rilanciarli in avanti
> anche in ottica occupazionale, piuttosto che emarginare queste strutture.
>

Torniamo per certi versi a quanto dicevo prima, e cioè un discorso
prettamente politico e quindi condizionato da una visione.
Per prendere in considerazione determinati aspetti, occorre che certi
attori siano seduti al tavolo (e non c'erano), e che certi obiettivi o
necessità siano considerati esigenze primarie del progetto: qui si deve
dotare di un cloud la PA (ammesso che la lunga onda della virtualizzazione
sia un beneficio per la PA) e, date le risorse, i pensieri sull'occupazione
o la formazione sembrano piuttosto un'eterogenesi dei fini.

Ciao, Marco
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